Forme trascendentali - Aristotele
Un punto di riferimento sicuro è la decisa contrapposizione, nel pensiero maturo di Aristotele, al pensiero di Platone non solo per le tematiche più generali ma anche nel caso della percezione della forma.
Alla “idea” di Platone si sostituisce la “forma” di ArisTotele ma, in entrambi i casi, l’eîdos, cioè la forma “ideale”, resta sempre l’oggetto del pensiero. Ciò che cambia è la differente fonte di legittimazione della conoscenza: trascendentale in Platone, immanente in Aristotele.
In Aristotele possiamo trovare un concetto assimilabile alla forma trascendentale (eîdos), con una certa approssimazione, a quello di fantasia (phantasia), sviluppato soprattutto nel De anima ma toccato anche in altre sue opere. Nonostante ciò l’argomento rimane coperto, per i suoi commentatori, da dubbi e incertezze, dato che i riferimenti sono spesso rapidi, elusivi e, non di rado, discordanti.
Vediamo alcuni dei principali punti in cui viene illustrato il concetto, iniziamo con il primo capitolo del De memoria et reminiscentia (449b 30-450a 7):
“Si è detto già prima, nei libri Sull’anima, dell’immaginazione, e che non si può pensare
senza immagine. Nel pensare accade infatti la stessa cosa che accade nel disegnare una figura: qui, infatti, pur non avendo affatto bisogno di un triangolo di grandezza determinata, lo tracciamo tuttavia di grandezza determinata. Allo stesso modo, colui che pensa, anche se non pensa una quantità, si pone dinanzi agli occhi l’oggetto come quantità determinata, pur non pensandolo in quanto tale.”
In questo brano sembra che la descrizione della fantasia sia vicina a quella dell’immagine mentale, per ritrovarci però in altri brani con affermazioni parzialmente discordanti.
Nel settimo capitolo del De anima si afferma che «l’anima non pensa mai senza un’immagine» e che «la facoltà intellettiva pensa le forme nelle immagini»; mentre il capitolo immediatamente successivo, l’ottavo, si conclude in questo modo (432a 3-12)
“Ora, dato che nessuna cosa, a quanto risulta, esiste separata dalle grandezze sensibili, è nelle forme sensibili che esistono gli intelligibili, sia quelli che si dicono per astrazione, sia quanti sono disposizioni e affezioni dei sensibili. E per questo chi non avesse alcuna sensazione non imparerebbe né comprenderebbe nulla; e per questo, quando uno pensa qualcosa, pensa necessariamente insieme una qualche immagine: le immagini sono infatti come sensazioni, solo che mancano di materia.”
Non tutto è chiaro nell’interpretazione di questi brani, ma la relazione tra pensiero ed immagine emerge con sufficiente chiarezza, soprattutto sulla base del primo capitolo del De memoria et reminiscentia e dell’ultimo dei Secondi analitici, ed diviene lecito ipotizzare lo sviluppo che va dall’immagine al concetto in un processo del genere:
1. a partire da dati di senso occasionali e ripetuti, l’immaginazione elabora immagini mentali persistenti, che esistono cioè anche in assenza della sensazione in atto;
2. queste immagini mentali possono essere delle rappresentazioni di pura forma ad esempio l’immagine di «uomo» in generale, non di un uomo in particolare;
3. dalle rappresentazioni evidentemente in forza di un processo di astrazione-generalizzazione, si generano i concetti puri.
Per approfondire tale concezione inseriamo un brano de Secondi analitici, II, 99b 35– 100b 5, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 372-373.
"Tutti gli animali hanno un’innata capacità discriminante, che viene chiamata sensazione. Così, la sensazione è insita negli animali, ma mentre in alcuni di essi si produce una persistenza dell'impressione sensoriale, in altri invece ciò non avviene. Orbene, quegli animali in cui non si produce tale persistenza, mancano o totalmente, o rispetto agli oggetti, la cui percezione non lascia in essi alcuna traccia, di qualsiasi conoscenza al di fuori della sensazione; altri animali invece possono, una volta che la sensazione è cessata, conservare ancora qualcosa nell’anima. Quando poi si siano prodotte molte impressioni persistenti di questa natura, si presenta allora una certa differenziazione, e di conseguenza in certi animali si sviluppa, sulla base della persistenza di siffatte impressioni, un nesso discorsivo, mentre in altri animali ciò non si produce. Dalla sensazione si sviluppa dunque ciò che chiamiamo ricordo, e dal ricordo spesso rinnovato di un medesimo oggetto si sviluppa l’esperienza. In realtà, dei ricordi che sono numericamente molti costituiscono una sola esperienza. In seguito, sulla base dell’esperienza, ossia dell’intero oggetto universale che si è acquietato nell’anima, dell’unità al di là della molteplicità, il quale è contenuto come uno e identico in tutti gli oggetti molteplici, si presenta il principio dell’arte e della scienza: dell’arte, riguardo al divenire, della scienza riguardo a ciò che è. Le suddette facoltà non ci sono dunque immanenti nella loro determinatezza, né provengono in noi da altre facoltà più produttive di conoscenza, ma vengono suscitate piuttosto dalla sensazione.
Così in battaglia, quando l’esercito si è colto in fuga, se un soldato si arresta, si arresta pure un secondo, e poi un altro ancora sino a che si giunge al principio dello schieramento. L’anima d’altronde è costituita in modo tale da poter subire ciò […] In realtà, quando un solo oggetto, cui non possono applicarsi differenze, si arresta in noi, allora per la prima volta si presenta nell’anima l’universale (poiché si percepisce bensì l’oggetto singolo, ma la sensazione si rivolge all’universale, per esempio all’uomo, non già all’uomo Callia); e poi rispetto a questi oggetti si verifica in noi un ulteriore acquietarsi, sino a che nell’anima si arrestano gli oggetti che non hanno parti e gli universali. Ad esempio, partendo da un certo animale, si procede sino all’animale, e poi rispetto a quest’ultimo avviene lo stesso. E’ dunque evidentemente necessario che noi giungiamo a conoscere gli elementi primi con l’induzione. In effetti, già la sensazione produce a questo modo l’universale."
Da quanto visto risulta evidente che Aristotele ha una idea chiara per quanto riguarda il nesso tra immagine e concetto che possiamo ricondurre all’idea che esso si realizza attraverso la connessione dei concetti con la rappresentazione mentale corrispondente di tipo eminentemente visivo (phàntasma), dove il concetto, che a sua volta viene tradotta in immagine, è il contenuto mentale che deriva dall’apprendimento progressivo dell’essenza di un certo genere di cose, ossia l’oggetto mentale che sta per l’oggetto reale esterno colto nel sua forma universale.
La scienza e la conoscenza sillogistica avvengono - secondo quanto afferma Aristotele negli Analitici Secondi – sulla base di determinazioni universali dell’oggetto di cui si parla. Tali determinazioni sono universali se predicabili di ogni oggetto indicato dal termine.
Perché la determinazione di un un oggetto sia universale occorre che lo sia per il suo oggetto primo, cioè dell’oggetto anteriore ad ogni altro oggetto cui appartiene tale determinazione.
Consideriamo un esempio: per provare che la determinazione ‘avere la somma Degli angoli uguale a due retti’ si predica universalmente di qualcosa, non lo si può dimostrare né per una figura qualsiasi (infatti la determinazione non si predica di un quadrato) né per una figura come il triangolo isoscele, ma bisogna dimostrarlo per il suo oggetto primo, cioè per il triangolo, che è anteriore al triangolo isoscele.
Ma questa affermazione è un’aporia seguendo il seguente ragionamento: seguendo la traccia fornita dallo stesso Aristotele, per avere un triangolo universale devo avere assimilato nel concetto di triangolo molte percezioni di triangoli qualsiasi. La loro sovrapposizione nella memoria fa si che si possa avere il concetto universale di triangolo. Ma per costruire tutti questi triangoli occorre conoscere le regole geometriche per la loro costruzione che si ricavano solo dallo studio scientifico del triangolo universale. La determinazione che gli angoli interni di un triangolo sia uguale a due angoli retti può essere fatta solo studiando il triangolo universale e un qualsiasi triangolo può essere costruito solo disponendo delle linee che formino una figura con gli angoli interni uguali a due retti, questo secondo il metodo euclideo e Aristotele non ah dato un modo alternativo.
Dal nostro punto di vista, che è sempre finalizzato alla comprensione della percezione delle immagini geometriche, possiamo estendere l’idea di forma universale anche agli oggetti geometrici.
I concetti geometrici dunque sono legati alla loro forma ideale che si è formata dall’apprensione progressivo di una certo genere di forme reali. Dopo tale acquisizione si può passare alla introspezione del fenomeno particolare sulla base del concetto consolidato.
Ma in molti casi sono sufficienti le osservazioni sensoriali, che devono essere molte, a definire un concetto? In particolare per gli oggetti matematici-geometrici prima di diventare oggetti di studio scientifico come sono stati concettualizzati?
Possiamo immaginare una società primitiva che viva nella natura, penso che l’occasione di vedere in ente geometrico come un triangolo o un pentagono non siano molte o forse nessuna. E’ ovvio che non esistendo triangoli nel suo ambiente naturale non sarà in grado di studiarli ma se non li può studiare non ne può neanche individuare quelle qualità che permetterebbero di costruirli. Quindi la prima forma triangolare costruita dall’uomo su che basi è stata realizzata?